"Jogging", breve racconto dello scrittore israeliano David Grossman

Un uomo corre, di notte, in una Gerusalemme spettrale: quell'uomo è un soldato israeliano, che cerca un riscatto, un sollievo da un'esistenza vissuta sulla lama di un rasoio, in una città divisa, tormentata, dove sembra impossibile trovare requie. David Grossman , scrittore nato nel 1954, riesce a scandagliare le profondità dell'anima portando a galla sensazioni, speranze, rabbie, nostalgie con il racconto "Jogging" del 1988, l'anno stesso in cui il successo gli arride con l'opera "Vedi alla voce amore". "Strana è la corsa, stanotte. E' stancante tanto da purificarti , e ti aiuta molto bene a collegare assieme le nascoste radici degli attimi, e quasi non si sa sei tu che corri o se tutto scorre attorno a te in un lento movimento di giostra". Correre? Non è la prima volta che David corre, ha anche gareggiato, correre è anche ricordare l'atmosfera della pista:" …tutte le roche canzoni trasmesse dagli altoparlanti si smorzano velocemente dopo il terzo o il quarto giro di pista, e al loro posto si sente negli orecchi il battito fisso e tambureggiante del sangue, e fulge e sorge la luce della morbida carne delle conchiglie del pensiero, i fatti come sono stati visti dal loro lato interno, tutto il sussurrio di brace accesa, e durante tutto questo tempo i tuoi piedi battono con un ritmo che non si muta, un piede dopo l'altro"Corre con gli scarponi (del resto non lo faceva forse anche Zatopek per aggravante voluta dell'allenamento?) pensando di avere dedicato paradossalmente troppo spazio alla corsa , a scapito della storia d'amore condivisa con la sua lei. Quante volte sarà passato in testa un pensiero del genere in ognuno di noi?: "…Forse il ritmo con cui tu ti sei sviluppato fino ad ora è stato troppo veloce , forse troppo facilmente hai ottenuto tutti i successi che hai ottenuto nei tuoi anni di vita, e forse tutto ciò ha messo in pericolo il tuo vero ritmo interiore. Tua madre ti avrebbe detto che la vita, figlio mio, è una lunga corsa e tu, forse, non hai saputo distribuire bene le forze e perciò ti sei lasciato abbattere…" Il protagonista si volge indietro e per un attimo ha l'impressione di avere dilapidato troppe energie con la corsa quotidiana. Il suo è anche un dialogo a distanza con la madre: "…In questa corsa hai esaurito le forze , e di questo tua madre non aveva mai saputo nulla, e perciò ti spronava a uscire da quella tua sonnolenza, a mettere in pratica tutto ciò che era racchiuso in te, perché lo vedi che talento hai, che doti, e se fossi un po’ più diligente e ambizioso potresti arrivare a buonissimi successi in qualche campo, e non solo a quei nebulosi accenni di successo…". Un conflitto interno fra razionalità e corpo. IL pensiero va anche alle vittorie delle corse, è una specie di richiamo della foresta: "Fai fermentare in te  il ricordo degli applausi che ti hanno gettato giù dalle tribune, e gli occhi infiammati dei tuoi insegnanti e dei tuoi compagni, che ogni volta ti accompagnavano alla pista e ti stringevano commossi la mano e salutavano a malapena i tuoi rivali…". Il calore dei ricordi nella freddezza dell'oscurità della notte, illuminata dal giallastro malato delle luci al limite delle strade e dei riflettori. E anche se, cinicamente, il soldato sa di essere stato considerato "carne da coppa" dal comandante, viste le numerose vittorie riportare in carriera, capisce che la corsa, anche se fatta nello scenario terribile dei posti di controllo, dei bunker, dei sacchi di sabbia vicino alle mitragliatrici e ai checkpoint delle "terre di nessuno", è uno sprazzo di umanità in mezzo all'orrore del conflitto fra Israele e Palestina (siamo nel 1988).

 

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