Inizio il mio “punto” con una considerazione di tipo organizzativo, che spero non sia barbosa.

Qualche settimana fa la Fidal nazionale ha eletto il suo reggente: è il grossetano Alfio Giomi, 64 anni, che succede all’ex campione europeo dei 1.500 Francesco Arese. Giomi e consiglieri (vice presidente è il genovese Mauro Nasciuti) hanno l’onore (e l’onere) di gestire l’atletica e il podismo (che ne è una parte importante) in quattro anni che si annunciano non facili. Congiuntura economica, difficoltà nel tutelare i talenti (che ci sono), lotte interne (che non ci dovrebbero essere) hanno reso scarno il medagliere azzurro nelle varie competizioni internazionali. Siccome poi viviamo anche di sensazioni, ci sentiamo di riportare il senso di estraneità (ammettiamolo)

che il podista medio prova nei confronti di una macchina amministrativa che sembra sappia solo emanare tariffe, tasse, imposte. Sembra di cogliere, nel nostro mondo, quelle tensioni e contrapposizioni fra “società civile” e “potere”, fra “paese reale” e “politico” che vediamo e percepiamo nella vita di tutti i giorni.

Eppure anche nelle federazioni esistono persone preparate e sensibili. Premesso che nessuno ha la bacchetta magica, occorre maggiore dialogo (anche aspro, se è il caso) fra tutte le componenti del nostro mondo. E occorrono anche consiglieri veri, non finti: fa piacere rilevare come l’olimpionico Stefano Baldini si occuperà del settore giovanile. La corsa su strada da sola non può risolvere i problemi dell’atletica italiana, ma può esserne parte importante, qualificando quegli elementi di forza che sono l’aggregazione, la partecipazione di classi d’età master, la scoperta del paesaggio (penso al Trail del Monte di Portofino), l’approccio semplice e diretto con il gesto più semplice dell’attività motoria.

E allora: buon lavoro, Fidal!   

 

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