Il Ponte Morandi-1
Genova, 14 AGOSTO 2018
(“Il dolore è un’elica”- Peter Handke)
Il tempo, come scriveva la Yourcenar, lenisce tutto. Ma il tempo a Genova, dal 14 agosto dell’anno scorso, non è più lo stesso. Cadeva una pioggia battente alle 11.36 della vigilia di Ferragosto, neanche a farlo apposta su quella “ardita opera” che era il ponte Morandi, che sanciva per molti l’esodo vacanziero, la partenza verso scampoli di tranquillità. Già, la tranquillità….e chi si dimentica l’urlo “Mio Dio…”, che diventa subito virale, lo sguardo verso un moncone di cemento, verso il fumo nella pioggia grigia, straniante, devastante? Poi l’urlo delle sirene, il convulso andirivieni dei vigili del fuoco, una scena vista purtroppo tante, troppe volte in occasioni di calamità, quando erano fango e acque limacciose a travolgere case, uomini, tutto, proprio tutto. Ma questa volta la tragedia sembra il simbolo del Male assoluto, di un destino crudele, tragico. Giacomo Leopardi parlava della Natura cattiva, spietata nei confronti dell’Umanità. “Le colpe dei padri ricadono sui figli”, il vecchio adagio dei tragediografi, in realtà sancisce la fine dell’illusione del boom edilizio degli anni sessanta e delle sue opere, della prima ondata di modernizzazione del Bel Paese.E quello che crolla è un corpo sociale in una sorta di gonfiore, di dolore assoluto. Genova è sconvolta, il tempo di qualche ora e televisioni, reti, video scaraventano su tutti immagini di dolore, devastazione, pianti.Genova deve piangere perché piangere significa esorcizzare il dolore. Ma lo shock continua.Continua nella straziante conta delle salme: 43. Continua nei reportage e nelle testimonianze allucinate degli scampati, quelli che sono rimasti intrappolati nella galleria pochi istanti prima. La trappola è stata la loro salvezza.Scene da Seconda Guerra Mondiale, ecco il primo cittadino: “Genova ce la farà”; siamo impietosi se le stesse parole sanno di retorica? (prima parte)
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