Un genovese e Bikila-2° parte

Anche l’atmosfera solenne, con la partenza vicino al Monumento del Milite Ignoto, faceva venire il magone. Il colpo di pistola è stato una liberazione”. Una partenza da temerari, quasi da incoscienti,  tanta era l’adrenalina addosso. Un tuffo in un bagno di folla, assiepata dietro alle transenna. Le fiaccole illuminavano un percorso antico: “ Sono passato in 31’30” ai primi dieci chilometri con il gruppetto di testa. Non sentivo niente. Ero vicino a Popov e Magee. Qualche chilometro dopo, Abebe sbuca dal nulla, dal buio con il marocchino Rhadi. Correva leggero, senza faticare, concentrato”. Come nelle sequenze indimenticabili de “Il maratoneta”. Lì c’è già il Bikila con le scarpe delle Olimpiadi di Tokyo, unico uomo (insieme con l’ex DDR Waldemar Cierpinski) a vincere la maratona olimpica due volte consecutive. Almeno nelle prime fasi Silvio è con lui. “Qualche mese prima avevo vinto una gara di 33 chilometri a Cittadella di Padova. Subito in testa e via. Era una preparazione sommaria, lontana da quelle di oggi. La gara dei 42,195 chilometri era considerata una pazzia. I tecnici della Nazionale la facevano fare ai mezzofondisti con troppa superficialità”. L’atleta scalzo, avrebbero poi rivelato le riviste, al di là dell’aspetto naif, aveva svolto una mole di lavoro ingente nell’Amba di Entoto, 2.000 metri di quota a circa trenta chilometri da Addis Abeba. Il tutto in solitudine, sotto la guida dello svedese Niskanen: “ Chiamavano anche me lupo solitario quando partivo da Creto verso Montoggio, dall’albergo dove Catto della Trionfo Ligure, un mecenate, praticamente mi pagava la stanza. Non c’erano né nebbia che freddo che tenessero. Ogni tanto da Roma arrivava una specie di diaria, si “assegno della bistecca”, come lo chiamavo.Al trentesimo chilometro nessuno scherza più sulla sagoma ossuta e scalza di Bikila, che sfilaccia con un allungo imperioso il plotoncino dei favoriti. Gli resiste solo un altro africano, il marocchino Rhadi. Gli altri sono figure ingobbite dalla fatica, illuminate dalle torce su un percorso spettacolare ma insidioso. “A dir la verità, uscendo fuori dalla retorica, fu un percorso bello fino all’Appia Antica. Lì, troppo ciottolato, troppo asfalto dissestato. Chissà come ha fatto Bikila a vincere…Nel 1965, quando gli assegnarono il Premio Colombo a Palazzo Tursi, gli dissi che c’ero anch’io a Roma. Si congratulò, aiutato dall’interprete, ma fece una faccia come a dirmi: “ma hai beccato 15 minuti!”. E l’Africa per la prima volta vince una medaglia, con Abebe che arriva primo sotto l’Arco di Costantino in 2h15’16”, nuovo record mondiale. Silvio chiuderà onorevolmente in 2h31’54”  al 32° posto. Sono passati 50 anni, ma Bikila (nome che in aramaico significa “fiore che cresce”) è ancora considerato il più grande di tutti tempi nella storia di questa specialità di geniali faticatori. Quando glielo facciamo notare. Silvio sorride soddisfatto, come chi abbia condiviso, in quella calda e appassionata serata romana, l’inizio di un mito.

    

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