Oggi, compleanno di Roberta Brunet

Oggi è il compleanno dell'azzurra Roberta Brunet, nata il 20 maggio 1965 a Gressan (Aosta). Qualche anno fa mi concesse un'intervista.

Come nell'indimenticabile "Il cielo sopra Berlino", dove gli angeli vigilano con occhio benevolo anche dalla Statua della Vittoria sui destini umani, così qualcosa di ineffabile, di magico, di mistico, ha favorito il terzo posto di Roberta Brunet alle Olimpiadi di Atlanta. Era 12 anni fa, il cielo si era espanso, dall'azzurro della Vallèè, degli infiniti spazi azzurri della Brenva, della Val Ferret, fino agli spazi immensi della Georgia, sud degli Stati Uniti,una delle patrie del rithm'n blues cantate dall'immortale Ray Charles. "Una favola, non saprei definirla meglio- è il racconto entusiastico di Roberta Brunet- solo così si può definire il terzo posto sui 5.000 m. Una vicenda dove affetti umani, valori, qualità sportive si fondono in una miscela che ancora oggi rende la medaglia una sorta di lente di ingrandimento di ricordi, trionfi, successi, gioia". Tutto inizia nel 1995, nell'ottobre di quell'anno, quando la ragazza che è già un mito del mezzofondo, ricomincia a correre dopo la maternità."Dopo quasi un anno di inattività, sentivo le ali ai piedi.La bambina mi ha cambiato la vita. Fino a quel momento era stato tutto un susseguirsi ininterrotto di ritiri a Ostia, o Tirrenia, di treni, di chilometri macinati. E non c'erano nè calura né pioggia che tenessero". Da Aosta a Ostia, a….Barletta, consentiteci la battuta. Perché c'è sempre una sorta di pigmalione, di mentore di qualche atleta che raggiunga i livelli più alti. Questi è Oscar Barletta, personaggio storico, è il caso di dire, scopritore e trainer (il termine forse lo farebbe imbestialire) di chissà quante mezzofondiste, anche in epoche durante le quali per una donna era proibitivo allenarsi su strada." Per me lui ha significato molto. Nei momenti difficili mi diceva: " Roberta, se oggi non è domenica, poco male. Il giorno di grazia arriva per tutti. Ricordati che anche il buio più profondo finisce". Jack Kerouac (autore del celebre libro On the road) scriveva che la luce arriva anche nelle tenebre: " Mi ha insegnato a accettare tutto con filosofia. Dopo la maternità, ha capito come mi sarei dovuta allenare. Così, come d'incanto, si è creato un magnifico gruppo di sostegno in parte familiare, in parte tecnico, composto da mio padre, Barletta, mio marito e mia figlia". Presto detto: Oscar guida la macchina e detta i ritmi su strada.Sull'altro sedile, il nonno fa giocare la nipote: " C'è così una componente di gioco, di bambinesco, che mi ha sempre affascinato. Guardare il mondo con occhi di bambina lo fa scoprire perennemente. Ogni gara è diversa dalle altre". "Quando il bambino era un bambino", eccolo qua l'incipit di "Il cielo sopra Berlino", a ricordare il potere fantastico della mente per la quale ogni giorno è un nuovo giorno. Come il 28 luglio 1996, alle 20,40 nello Stadio Olimpico di Atlanta: "La notte prima avevo dormito male per l'emozione, ma quel giorno, anzi, quella sera, mi sembrava di avere un dominio totale di me stessa, delle emozioni. Ripeto, avevamo costruito le basi nei mesi precedenti, venivo da una vittoria esaltante  in Coppa Europa, sentivo crescere la condizione. Incredibile, ma dopo un anno di stop la sensazione era quella di vivere una seconda giovinezza". Qualche Cassandra le aveva recitato il De Profundis a soli 31 anni: "C'era una certa pressione attorno a me, è indubbio Non basterebbe un'enciclopedia per racchiudere tutte le sensazioni che venivano a galla dallo spogliatoio, dai corridoi sotterranei, verso la pista, quando capisci che partecipi a un'Olimpiade". Una seconda giovinezza, forse. E la prima? Forse qualche viso di adolescente con la bandiera Usa nello stadio gremito all'inverosimile, è la "madeleine" di Proust, alla ricerca del tempo (giovanile) perduto?: "I Giochi della Gioventù, la giovinezza passata a girare in cerchio attorno ai fatidici 400 metri, e poi i primi record, i minimi da fare obbligatoriamente…certo, non c'era molto tempo per il cazzeggio. Però, tornassi indietro rifarei le stesse cose. Non ho rimpianti". Quella sera ci sono 110.000 spettatori: " Ho fatto un giro su me stessa, forse scaramanticamente, forse per cercare una divagazione, per rendermi conto della folla. Non sentivo né caldo né freddo, eppure tutti avevano fatto un gran parlare dell'afa di Atlanta. Quand'ecco….". Come in un passo delle opere di Omero, succede qualcosa: "Il cielo si è finalmente aperto verso il sereno, mentre fino a qualche ora prima la giornata era stata nuvolosa, addirittura piovigginosa". Anche i grandi campioni amano guardare l'orizzonte verso una stella lontana, una quasar che li illumini di energia pulsante: " Sai, non sono una praticante, ma diverse esperienze mi hanno insegnato a capire che forse c'è un qualcosa, un qualcuno che ci segue, al quale siamo cari.E io ho un dialogo interiore con lui". Anche Oscar Barletta , che , orfano ben presto di padre, dopo qualche anno diresse un campo profughi nello spaventoso secondo conflitto mondiale, l'ha guidata verso la ricerca di valori, di ideali al di là del puro e teso aspetto agonistico. " Anche a Spalato, negli Europei del 1990, ero arrivata terza nei 3.000 m, ma allora  avevo vissuto tutto con una sorta di attacco pànico. Poco prima della partenza volevo addirittura scappare, non mi sentivo all'altezza: a Atlanta no. Mi sentivo addirittura padrona del mondo, la sensazione era questa. "Fiocca la manna dal cielo", mi sono detta. Ero consapevole della mia forza anche perché avevo vinto la prima batteria con grande facilità. Sentivo la presenza di un'entità superiore che mi avrebbe condotta verso il traguardo". Qualche allungo sul rettilineo opposto all'arrivo, si studiano i volti delle avversarie, delle impassibili, imperturbabili cinesi. Ci sono ancora gli echi del training e dei metodi discussi di Ma Junren: "Dei robot, sono dei robot. Un po’ mi fanno rabbia, un po’ tenerezza. Annullano la personalità in un allenamento esasperato. Mai un sorriso, un accenno dove venga fuori il loro io. Non ridevano nemmeno alla mensa del Villaggio Olimpico. La Szabo? Poco diversa. Fantastico invece, lo confesso, l'antagonismo con Paula Radcliffe ". Quella sera c'era un bel campo di partenti, con quella lungagnona dell'irlandese Sonia O'Sullivan, la rivelazione keniana Pauline Konga, la crossista americana Lynn Jennings, che cerca la consacrazione in casa come ultimo atto di una bella carriera: "Ci sono sette atlete che si giocano il titolo, Robbè (sembra di sentirlo-ndr), e tu sei fra queste- mi ha detto Oscar la sera precedente- e non ho potuto che dargli ragione. Ma il podio delle Olimpiadi è come un treno che passa una volta ogni quattro anni, e tu ci devi salire sopra. Il bello è questo. Non c'è meeting che tenga". Come definire una finale olimpica?: " Forse una partita a scacchi, un gioco di sguardi, quando devi capire se la tua avversaria è in crisi, se puoi allungare o strappare. E' magnifico. Ricordo gli attimi intensi dell'appello, poi lo sparo liberatorio, poi il primo chilometro corso con giudizio, né troppo avanti né troppo indietro. Al centro del gruppo". Roberta si tiene in pochino al largo dal cordolo: " Molti mi rimproveravano di sprecare energie non stando alla corda. In realtà, mi sembrava sempre di controllare meglio e di avere una via di uscita dal gruppo". Al quarto chilometro la cinese Wang vola via tagliando l'afa: " Ho visto l'Inferno per un giro.Mi è piombata addosso tutta la stanchezza. Allora mi sono attaccata alle caviglie di Paula Radcliffe, è stato un testa a testa continuo per circa 800 metri. Nessuna voleva cedere". Scontro fra titani. Le due sembrano unite da un campo magnetico che le spinge verso il finish: "Percepivo il suo respiro più affannato del mio. Poi…" Poi succede qualcosa: " E' come se, in quel momento, avessi visto mia madre, mia figlia e qualcun altro che mi incitavano. Mi sono appellata a loro. Loro mi hanno dato la forza in quei momenti tremendi". Paula, fierissima tempra di combattente, scrolla il capo:" se mi vuoi superare- sembra dire- devi passare sul mio cadavere". " C'è sempre stato tanto antagonismo fra me e lei, ma anche lealtà. In quasi tutte le gare l'avevo superata, magari con una volata secca, ma quel giorno ho dovuto richiamare in vita i valori nei quali credevo, le energie migliori, per staccarla. Finalmente poi è arrivato il suono della campana: "Oscar mi diceva che fa resuscitare anche i cadaveri, quelli che non ce la fanno più. E così è cominciata la volata". Dietro la Radcliffe scrolla sempre di più il capo, sconsolata. Tutta Italia la segue in quella che addirittura, per un attimo, sembra una rincorsa all'argento: " Forse la lotta per il terzo posto è più spietata che per la vittoria. Rigettavo l'idea di un quarto posto da depressione.Così mi sono veramente distesa con tutta la forza negli ultimi cento metri.Forse c'è un po’ di rimpianto per non avere ripreso la keniana (alla fine saranno divise da tre secondi-ndr) ma sono dettagli. Non so se in quel momento ci fosse tifo per me. Sapevo che a Gressan avevano allestito uno schermo gigante, ma in quei momenti mi sentivo in una bolla di vetro, sembrerà paradossale ma dal punto di vista delle sensazioni ero in una sorta di dormiveglia".Mai risveglio fu più dolce: " Subito dopo il traguardo ho alzato le braccia al cielo , avrei voluto abbracciare tutti, arrivare da Atlanta fino a Aosta, poi fare il giro dell'Italia. Vivevo una sorta di esaltazione che non ho mai provato, sono sincera. Non sono né orgogliosa né fiera, anzi mi hanno accusato del contrario,m a in quei momenti lo sono stata. Mi sono sentita addirittura diversa. Così ho fatto il giro d'onore con la Wang e la Konga come in un sogno. Ero leggerissima. Poi ho visto Eddy Ottoz, all'altezza dei 200 metri, che mi abbracciava da lontano.L'ho sempre stimato, lo considero una persona dotata di intelligenza acutissima: forse solo in quel momento ho capito di avere fatto un'impresa. Lacrime? No. Quelle a Sydney, quando ho concluso la carriera". Un lanciatore gli porta il tricolore: " Era stato fatto da sua madre. Era bellissimo. Mi ha detto di tenerlo pure e di restituirmelo solo in caso di una sua medaglia olimpica. Me lo sono stretto in vita". Un omaggio al mezzofondo femminile, come l'indimenticabile Maria Guida agli Europei di Monaco 2002: "I giorni successivi sono stati un delirio. Non chiudevo occhio e dormivo praticamente con la medaglia sotto la maglia. Passavo da un'intervista a un'altra, da una festa a una presenza in TV. Ricordo che un giorno ho chiesto se potevano concedermi due minuti per fare pipì, tanto mi volevano intervistare. In quei momenti sei proprietà dei mass media".Da qualche parte stava scritto. Roby (così anche la chiamava un certo Barletta) ricorda ancora l'atmosfera del 1996: " Una favola. Oscar lo sapeva".

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