"Il pedone" di Ray Bradbury

Camminare  può essere considerato  pericoloso per l’ordine pubblico. E’ quanto, con tinte fosche, rende il grande scrittore di fantascienza Ray Bradbury (lo stesso di Farenheit 451) ne “Il pedone” (1961). Come sempre Leonard Mead, il protagonista, fa la camminata serale. “Era ormai a un isolato da casa sua quando un’automobile solitaria girò di colpo l’angolo e lo centrò con un violento cono di luce. Al primo momento rimase immobile, poi non diversamente da una falena, accecata dal bagliore, si sentì attratto verso la fonte. Una voce metallica suonò nel silenzio”. “Si fermi. Resti dov’è. Non si muova”. Si fermò. “Mani in alto!”. “Ma…” disse. “Mani in alto!O spariamo!”. La polizia, naturalmente. “Perché è uscito di casa?”. “Per camminare, disse Leonard Mead”. “Camminare!”. “Solo camminare, disse con naturalezza, ma mentre un gelo gli saliva lungo la schiena”. “Camminare, solo camminare, camminare?”. “Sissignore”. “ Camminare dove? A che scopo?”. “Camminare per prendere aria. Camminare per vedere”. “Il suo indirizzo, prego?”. “Saint James street, numero 11”. “E lei ha dell’aria in casa sua, signor Mead, ha un condizionatore d’aria?”. “Si”. “ E ha un televisore in casa, uno schermo da guardare?”. “No”. “No?”. Vi fu un silenzio crepitante, che suonò come un’accusa. “E’ uscito da solo per camminare, signor Mead?”. “Si”. “Ma non ci ha detto per quale scopo”. “Ve l’ho detto: prendere aria, e per il piacere di camminare”. “Lo fa spesso?”. “L’ho fatto per anni, tutte le sere”. L’auto della polizia era acquattata al centro della strada, con la sua gola radiofonica che ronzava fiocamente. “Bene signor Mead”, disse. “Non c’è altro?”, chiese educatamente Mead. “No- disse la voce- è tutto”. Vi fu uno scatto metallico e come un lungo sospiro. Lo sportello posteriore della macchina della polizia si aprì lentamente: “Salga”. “Un momento, io non ho fatto niente!”. “Salga”. “Io protesto. Non avete il diritto di….”. “Signor Mead!”. Leonard Mead avanzò rassegnato, vacillando appena, ma con le spalle improvvisamente curve. Mentre passava davanti al parabrezza guardò all’interno dell’auto. Come si aspettava non c’era nessuno seduto sul sedile anteriore, non c’era nessuno nella macchina.  “Salga”. Posò una mano sullo sportello e scrutò sul sedile posteriore, che era una piccola cella, una piccola prigione nera, con le sbarre. “Dove mi portate?”. La macchina esitò, o piuttosto emise un leggero, brevissimo ronzìo e uno scatto: “ Al Centro di Ricerca Psichiatrica sulle Tendenze Repressive”.

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